Sono passate poche ore dalla nostra prima volta in questo luogo. Chi ci conosce sa che viviamo per emozionarci, cerchiamo sempre di portarci via ogni stato d’animo possibile dai luoghi che visitiamo ma in questo caso è tutto diverso, troppo distante dalla normalità quotidiana.
Non riusciamo a dare una spiegazione a quello che abbiamo vissuto. E’ un susseguirsi di emozioni contrastanti, la malinconia che a tratti prevale su tutto sparisce improvvisamente lasciando spazio all’euforia per poi riaffiorare poco dopo e così via… da ore ed ore è così un turbinio continuo di stati d’animo opposti ma che magicamente si fondono.
Non tutti lo sanno ma da anni stiamo lavorando per realizzare il nostro più grande sogno: vivere in montagna, in una nostra borgata ospitando persone da tutto il mondo.
Ecco, sono bastate poche ore tra quei ruderi a rafforzare ulteriormente i nostri desideri.
Fuori piove, il ticchettio sui velux di casa accompagna le foto che scorrono lentamente sul monitor del computer e mentre il cielo si fa via via più cupo ci ritroviamo a pensare, a riflettere, a scrivere ed editare.
Quella che apparentemente risulta esser una borgata abbandonata in realtà vive di vita propria, trasuda ancora la quotidianità di un tempo ormai lontano e tra le case si respira un’atmosfera quasi irreale dove il silenzio viene interrotto dalla caduta delle lose dei tetti, dai rami che si spezzano mentre alcune travi resistono stoicamente al trascorrere inesorabile del tempo.
Non c’è nessuno.
Qui non si vive più.
Eppure la chiesa, la scuola, le abitazioni provano a resistere quasi si attendesse il ritorno di qualcuno. Le dita scorrono veloci sulla tastiera ma è difficile trattenere i brividi e gli occhi si fanno via via più lucidi. Non sembra possibile che un posto del genere sia ora abbandonato a sé stesso.
Le stesse abitazioni provano tutt’ora a resistere a modo loro ed in esse il tempo è letteralmente fermo; il fieno sistemato, le tavole apparecchiate, le sedie, le cantine, il vino, le scarpe chiodate, le legnaie ancora perfette, i banchi della chiesa in perfetta simmetria tra di loro…
Tanti i sacrifici che quelle persone hanno fatto, lunghi ed interminabili inverni trascorsi in completo isolamento, vite differenti e forse troppo distanti da questa società ma senza dubbio più autentiche e orgogliose. E nonostante gli anni questo lo si respira senza problemi passeggiando tra i ruderi “resistenti”. Fatica e sudore qui erano di casa perchè il resto del mondo era lontano ore di cammino, proprio percorrendo quel sentiero che unisce il selvaggio con il moderno, il silenzio con il frastuono ed attraversa i pendii ci porta a riflettere, a pensare a quello che è stato.
Ci fermiamo, immaginiamo l’ultima persona che ha lasciato questo mondo parallelo… passo lento, uno sguardo all’abitato, forse una lacrima solca il suo volto, lo zaino in spalle pieno di ricordi, la propria vita racchiusa in pochi oggetti. Una scelta forse di sopravvivenza, forse una necessità dovuta all’evolversi della società che ha obbligato gli abitanti a scendere a compromessi ma per dei sognatori come noi questa è una bella crepa, l’ennesimo segno di un mondo che ormai non c’è più, di una vita fatta di sacrifici ma ricca di valori ed essenzialità.
Ripartiamo, il cielo si fa sempre più cupo, sembra quasi borbottare, alle nostre spalle, la montagna e quella sensazione di esser di troppo pervade i nostri spiriti. Chiudiamo per l’ultima volta gli occhi ed immaginiamo le risate dei bambini che corrono per i viottoli, il profumo della legna che arde, le maniche rimboccate degli uomini intenti a lavorar la terra, la messa della domenica mattina, gli amori che nascono… la vita.
Salutiamo chi c’è stato, coloro che hanno fatto vivere per anni questo angolo remoto della Valle Grana e li ringraziamo per quello che hanno trasmesso fino ad ora perchè, anche se disabitata, Narbona per Noi VIVE ANCORA.
#iduevagamondi Simone e Romina